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25th Giugno
2014
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Il 3 luglio 2014 saremo in piazza per protestare contro i tagli feroci e cinici dei fondi destinati all’assistenza e alla cura perché pensiamo che nessuna società che voglia dirsi civile e progredita possa accettare senza colpo ferire che salute e attenzione a chi ne ha bisogno possano essere trattate con le stesse logiche dei banchieri e della finanza.

Ma siamo anche consapevoli che un effettivo ed autentico cambio di rotta rispetto alle politiche sociali non arriverà “naturalmente” da questa giunta o da questo governo. O da qualunque altra giunta o altro governo che arriveranno dopo.

I servizi sociali inizieranno ad essere ambiti di investimento e non di risparmio, le nostre condizioni contrattuali saranno finalmente ben diverse da quelle di oggi SOLO nella misura in cui gli operatori sociali cominceranno ad essere un soggetto, critico e pensante, in grado di fermare la barbarie dei tagli e di pretendere con orgoglio che il loro lavoro diventi il pilastro di una società diversa e migliore.

Essere sudditi e passivi di fronte a quello che accade o essere cittadini attivi che a partire da ciò che fanno costruiscono il cambiamento possibile? E’ questo il dilemma che abbiamo di fronte e anche lo stimolo positivo che vogliamo lanciare a chi fa il nostro lavoro. Ognuno di noi ha scelto questa professione a partire da motivazioni profonde, etiche, politiche, sociali, religiose. Non possiamo accettare che il senso ultimo di ciò che facciamo, cioè far sì che le persone di cui ci occupiamo crescano e diventino soggetti attivi della loro vita, si scontri poi con la nostra passività ed il nostro immobilismo di fronte a ciò che accade.

Per fare questo abbiamo bisogno di organizzarci, in forma aperta, assembleare e fuori dalle logiche politiche di partiti e sindacati, per capire meglio gli aspetti più controversi del nostro lavoro, studiare contratti e “presunti modelli” di welfare e finalmente rivendicare trattamenti salariali (almeno) decenti, la fine della precarietà, la dignità della nostra professione.

Per fare questo abbiamo bisogno di metterci in rete, costruendo un legame di solidarietà che denunci le situazioni più assurde, accorra in sostegno dei colleghi in difficoltà, sviluppi proposte che associno il miglioramento delle nostre condizioni salariali con il valore sociale di ciò che facciamo ogni giorno. E rete va fatta anche con quei lavoratori che su altri terreni, dalla sanità all’immigrazione, all’insegnamento sono impegnati come noi a rispondere agli attacchi che subiamo.

Per fare questo dobbiamo alzare la testa, oggi di fronte al Comune e domani anche all’interno dei nostri posti di lavoro. Perché gli “imprenditori del sociale” non possono non essere considerati complici di un meccanismo perverso che ha assunto le logiche al ribasso e che spesso, pur di assecondare il loro padrino politico di riferimento, ha accettato le briciole dalle istituzioni condannando i lavoratori alla precarietà e abbassando drasticamente la qualità del servizio che offriamo.

E’ un gioco al massacro che dobbiamo rompere. Conflitto è una parola oggi considerata fuori tempo e fuori luogo, ma la guerra dei potenti contro i più deboli è un dato oggettivo e incontestabile.
Fino a quando la subiremo?

RETE DEGLI OPERATORI SOCIALI
Milano

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