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DA COSA PASSA IL RICONOSCIMENTO DELLA PROFESSIONALITÀ DELL’OPERATORE SOCIALE?
La legge Iori-Binetti 2656 è giunta all’ultimo passaggio della sua approvazione definitiva in parlamento.
Cosa succederà da qui in avanti? Che finalmente la categoria dei lavoratori del sociale assumerà un nuovo riconoscimento all’interno del mercato del lavoro e dei Servizi? Che verrà definito chi sono, cosa fanno, quanto necessari sono? Che ci saranno nuovi investimenti, pubblici e privati, sui Servizi territoriali? Che il nostro contratto nazionale, scaduto ormai dal 2012, verrà preso finalmente in considerazione e si stabilirà un salario dignitoso per una categoria sfruttata e sottopagata? Che finalmente, con la definizione di un curriculum formativo universitario la nostra professione e la nostra categoria di lavoratori possano acquisire la meritata dignità sociale?
Queste sembrano le volontà sottese, eppure siamo molto preoccupati da quello che ci attende, a fronte delle insoddisfacenti risposte sulla reale attuazione e il reale impatto che la legge Iori-Binetti porterà nel lavoro quotidiano.
Più ci guardiamo attorno e più questa proposta di legge ci appare in contraddizione con la realtà dei Servizi alla persona e con le condizioni professionali di chi ci lavora in esso.
Una realtà che vede educatori scolastici che lavorano senza un’equipe e con ore di programmazione tendenti a zero, educatori abbandonati sul territorio a gestire gruppi in solitudine, senza una sede, un luogo fisso in cui poter svolgere le attività, colleghi che per mesi non vengono pagati, che fanno turni di notte “passivi”, non retribuiti, educatori che utilizzano le loro molteplici competenze per poter offrire un lavoro di qualità. Tutto questo in una realtà che continua a seguire la logica delle esternalizzazioni al ribasso e si concretizza in situazioni di grave precarietà lavorativa, rispetto ad un sempre maggior bisogno di risposte sociali ed educative. Non possiamo fare altro che chiederci se non siano proprio queste condizioni, così profonde e incancrenite da non essere più notate come invalidanti, a togliere la dignità non solo alla professione di operatore sociale, ma anche a chi stesso la svolge.
Nella complessità del “Welfare-Wild-West”, fa nascere dubbi e domande l’avvento di una legge che risulta slegata dal contesto in cui lavoriamo e dalla concretezza delle condizioni. Una legge che parla di università, di crediti e di mansioni ulteriori da acquisire, mai di tutele e riconoscimenti per i lavoratori, rischiando altresì di aggiungere ulteriori oneri economici ad una delle categorie in assoluto meno pagate in Italia.
Non riteniamo sia sbagliato puntare sulla formazione e sulla professionalizzazione degli educatori, tutt’altro, ma perché non investire sul diritto di formazione, sugli obblighi formativi annuali e non valorizzare in maniera ufficiale i percorsi di formazione continua? Perché rinforzare e riconoscere solo e soltanto i percorsi universitari come professionalmente formativi, consolidando sempre più gli interessi politici ed economici dell’accademia, anche in relazione alla fallita unificazione dei percorsi formativi in ambito sociale e sanitario, ignorando quindi le direttive europee?
Quest’ultimo punto ci sembra infatti l’elemento più contraddittorio e difficile da accettare della proposta di legge, insieme all’irrispettosa scelta, a cui finora nel concreto ufficialmente mai è stata proposta un’alternativa, di scaricare sulle spalle del singolo lavoratore l’onere economico del corso universitario obbligatorio da 60 crediti, previsto per chi, da norme transitorie, vorrà prendere l’equipollenza.
Il primo riconoscimento che serve alla categoria degli educatori è certo il riconoscimento della professionalità, ma non limitato al percorso accademico precedente allo svolgimento della professione, bensì di pari passo esteso obbligatoriamente ad un adeguato riconoscimento economico, bilanciato anche alla richiesta vincolante di un titolo di laurea e in linea con gli altri paesi europee paragonabili per livello economico e costo della vita al nostro, ed al miglioramento delle condizioni di lavoro e della qualità dei servizi.
Ricentriamo il dibattito su quello che veramente manca, da decenni, nel settore del lavoro sociale: un investimento in termini economici e di pensiero, che possa garantire veramente condizioni di lavoro dignitoso e un servizio di qualità per l’intero tessuto sociale.
L’affermazione forte del nostro bisogno di senso, rispetto, valore e qualità, come educatori, lavoratori e persone, passa già attraverso un dialogo aperto, confronti e dibattiti sui territori, attraverso insomma una linea di discussione che attraversa l’intero paese e costruisce un’unità e una mobilitazione nazionale che si sta preparando ad emergere in maniera prorompente.
Rete Nazionale Operatori Operatrici Sociali.